Dall’11 agosto 1941 al 10 dicembre 1942 i soldati italiani caduti o dispersi al Fronte orientale ammontavano a circa cinquemila uomini. Alla fine di marzo 1943, quando si tentò di ricostruire l’organico dei singoli reparti falcidiati dai combattimenti – dalle fatiche mostruose per sopravvivere – dal clima … , il numero degli assenti sfiorò i novantamila.
Tra dicembre del 1942 e marzo 1943 si consumò dunque una delle peggiori tragedie dell’allora Regio Esercito italiano.
In molti testi si raffronta il numero dei circa 90mila caduti e dispersi a fronte dei circa 220mila che costituivano l’8° Armata italiana in Russia (o Arm.I.R, che integrò il precedente Corpo di Spedizione Italiano in Russia o C.S.I.R.). Alcuni Storici, invece, lo raffrontano al numero di chi era schierato in linea, cioè circa 150mila , per significare ancora di più le dimensioni della tragedia.
Se poi alla mole immensa dei caduti o dispersi aggiungiamo che in quelle terre rimasero il 70% degli automezzi che vi erano stati mandati, l’80% dei quadrupedi, il 76% degli armamenti di reparto e il 97% delle artiglierie, la dimensione di disfatta prende corpo (M.Coltrinari, La guerra italiana all’URSS – 1941-1943 Le operazioni, ed. Nuova Cultura Roma 2010, pag. 163)
E ancora di più quella tragedia assurge a dimensioni uniche se la confrontiamo con il totale delle perdite italiane nella II guerra mondiale che ammontano complessivamente a 319.207 esseri umani (dati al 2010. Col. SM M. Multari, Seconda guerra mondiale–I caduti al fronte orientale. Tratto dal WEB)
Eppure i nostri soldati morti al Fronte orientale furono ben poca cosa nel colossale bagno di sangue che quella guerra significò. L’operazione Barbarossa diede il via ad una guerra in cui si perpetuarono violazioni generali di tutte le norme di civiltà, inflitte all’Europa dall’Europa stessa (dati da fonti varie).